E’ difficile avere una contro – narrazione adeguata per contrastare la tossica narrazione dominante. E’ difficile perché senza pratica conflittuale, e alle volte ci verrebbe da dire senza alcuna pratica, non può nascere teoria. Partiamo nel piccolo da una forte autocritica, anche come Dada Viruz Project. Siamo bravi nel fare i compitini, nel dare voce al comunicato di Tizio e di Caio ma abbiamo smesso di fare analisi. Abbiamo smesso di provare a leggere il mondo come se il mondo parlasse un idioma inconoscibile. Certo attorno a noi ci sono delle complessità, che non possono essere negate, e che non vogliamo negare, ma le compagne e i compagni sembra che si siano rassegnati alla sconfitta. Si comportano come quel tifoso che aspetta il risultato al novantesimo senza andare allo stadio a portare il proprio supporto, perché ormai privo di entusiasmo. Quindi la prima cosa da fare è ritrovare l’entusiasmo. Contrastare la depressione che il sistema ci impone. La depressione si contrasta solo in un modo con l’attività. La militanza è la migliore medicina contro la depressione. Inoltre la militanza obbliga alle pratiche e, di fatto, riattiva il quel circuito virtuoso di metodo leninista “prassi – teoria – prassi” che rimane essenziale per comprendere e trasformare la realtà. Intendiamoci non è il nostro un invito a fare tanto per fare ma a provare a ragionare e fare. Potremmo tranquillamente proseguire questa analisi con una critica al sistema capitalista e molto probabilmente non ci sbaglieremmo perché è un sistema iniquo, irrazionale e criminoso. Tuttavia, pensiamo che ci sia bisogno prima di parlare di noi. Dobbiamo parlare dei nostri limiti e dobbiamo mettere in chiaro che le tante sconfitte che abbiamo subito sono ancora niente, rispetto a quelle che dovremo subire. Continueremo a perdere fino a che rimarremo arroccati ad un modo di ragionare, che non si evolve in rapporto con l’ambiente. Abbiamo bisogno di ascoltare le istanze, anche quelle distorte, del popolo. Abbiamo bisogno di ascoltarle e analizzarle. I radical chic e i professorini non solo non servono ma sono dannosi ad un processo rivoluzionario. Sia chiaro nessun cedimento al populismo o inseguimento delle vertenze ma solo uno studio del livello di coscienza delle masse, per sapere quale è lo stato di salute del paziente. Se c’è da prendere, poi, scelte impopolari vanno prese, ma vanno prese in nome di una linea politica autonoma che mira agli interessi della classe non in nome della ragione dei dominanti che attraverso la loro cultura ci obbligano a vivere in un mondo alla rovescia. Gli opposti oggi sono funzionali a reggere il sistema. Mondializzazione versus sovranismo; liberismo versus populismo; pacifismo versus militarismo; complottismo versus fiducia nella governance, e si potrebbe continuare con altre decine di esempi, sono tutte politiche estreme di questo sistema estremo.
La cosa paradossale, però, è che se rompi questo schema te lo becchi tu dell’estremista. Il potere sembra averla escogitata bene per questo dobbiamo ripensare il nostro essere e soprattutto il nostro muoversi.
La crisi investe i partiti comunisti, i centri sociali, i collettivi e il sindacalismo di base. Nessuno è risparmiato perché nessuno ha compreso che non c’è niente di peggio che di contenuti nuovi con parole vecchie. A noi servono i vecchi contenuti con parole nuove. Il capitalismo chiama questo fenomeno marketing. Mai butterebbe via un un buon vino che non vende più. Cambierebbe solo la pubblicità. Noi, invece, abbiamo fatto il contrario ci siamo ubriacati di nuovismo continuando a proporlo con un linguaggio anacronistico. Abbiamo perso tempo a dividerci tra chi considerava i riformisti il principale nemico e chi con i riformisti voleva unirvisi in matrimonio. Entrambe sono due posizioni sbagliate. A noi le riforme possono e devono andar bene come passaggio tattico ma divengono dannose come obbiettivo strategico. Infine c’è la spinosa questione della ricomposizione di classe. Va da se che non può essere realizzata su di un terreno elettorale. Non abbiamo avuto la puzza sotto il naso e abbiamo sperimentato ma poi dagli esperimenti si devono trarre le conseguenti conclusioni. La ricomposizione passa da percorsi arzigogolati e non è mai definitiva. Inoltre, per quanto sia auspicabile, va ricercata solo a determinate condizioni che non snaturino un progetto già anemico. Tra pandemia, crisi economica, crisi ecologica, tensioni internazionali la storia è tutt’altro che terminata e il mostro che domina non è affatto invincibile. Se lo sembra è per causa della nostra debolezza soggettiva. Per questo occorre accelerare la genesi di un pensiero anticapitalista adeguato ai tempi. Un pensiero fermo e saldo sui principi cardine ma flessibile nel costruire fronti unitari, necessari per gli scontri avvenire. In un mondo che ci appare alla rovescia abbiamo difficoltà a fare analisi ma ancora oggi esiste una bussola per non perderci ed è quella che indica lo scontro tra sfruttati e sfruttatori.