Un primo bilancio del 15 ottobre da parte del CAV


Tutti si sono sbizzarriti nei commenti più disparati ma pochi, anzi pochissimi, si sono affrettati a fare un’analisi approfondita di cosa sia realmente accaduto il 15 ottobre. Noi non siamo usciti prontamente nelle ore successive con comunicati e commenti perché abbiamo voluto riflettere con attenzione e tutt’ora la riflessione è in corso. Diffidiamo di chi crede, magari con tanta presunzione, di avere la verità in tasca. Proviamo, tuttavia, a socializzare alcune considerazioni.
Indignados movimento internazionale ma non internazionalista
Iniziamo con il dire che il 15 ottobre la mobilitazione è stata a livello mondiale. Infatti non accadeva da tempo che la gente scendesse in piazza in 951 città di ben 82 paesi diversi. Di fronte alla crisi economica: dagli USA, all’Europa, dal mondo arabo, alla Cina interi settori di popolazione si sentono minacciati e giustamente esprimono la loro “indignazione” e protesta. Tuttavia, pensiamo di essere di fronte ad un movimento si internazionale ma non internazionalista. E’ internazionale perché supera i confini dei singoli stati e dei continenti ma non è internazionalista perché ognuno poi pensa quasi esclusivamente ai problemi di casa propria. L’internazionalismo del ’68 che collegava in una sola ideale barricata la resistenza Vietcong, le proteste dei campus americani, il maggio francese, la primavera di Praga è lontano anni luce dalle proteste degli “indignados” che sembrano non avere un prospettiva reale di costruzione di un’alternativa. Pur percependo il ruolo nefasto del FMI, del WTO, della BCE e delle altre strutture del capitalismo mondiale questo movimento concentra la sua protesta contro i governi nazionali. Per condizioni soggettive è assai più arretrato del movimento altermondialista che veniva chiamato impropriamente “No Global”. In Spagna, dove il movimento è nato, ne ha fatto le spese Zapatero ma nonostante la generosità e l’impegno dei militanti non riesce ad uscire dalla spirale dell’antipolitica favorendo di fatto l’alternanza di governo dentro il quadro del sistema esistente.
Il provincialismo Italiano
In Italia questa caratteristica si accentua oltre modo a causa dell’antiberlusconismo. Lungi qui negare che in Italia non esista un problema Berlusconi. Tuttavia, rispetto a tematiche di carattere globale dovrebbe passare in secondo piano. L’antiberlusconismo rischia di fare gli stessi danni del Berlusconismo. Quando delle forze politiche tentano di snaturare i contenuti di una manifestazione contro la BCE e l’austerità trasformandola nell’ennesima manifestazione elettorale contro il governo compiono un’operazione strumentale che può riuscire solo dove esiste un livello di coscienza basso.
Le responsabilità del coordinamento 15 ottobre sugli esiti del corteo sono palesi. Una generazione intera è stata ingannata con frasi: “A casa non si torna” o “Assediamo il parlamento”, ecc. Alla fin fine abbiamo assistito al tentativo del solito corteo rituale. Nel coordinamento ha prevalso la lunga mano del centrosinistra che ha nei fatti impedito che si manifestasse sotto i palazzi del potere e pensando con la solita sfilata fino a piazza San Giovanni e il solito comizio di risolvere il tutto. In nome di una unità astratta le forze di classe hanno capitolato su queste posizioni, di fatto, facendo aumentare le tensioni tra segmenti irrequieti e già predisposti allo scontro. Solo gli ipocriti, e con poca credibilità, possono affermare che la manifestazione sarebbe stata pacifica. Tutti sapevano nel movimento, tra i servizi segreti, tra le forze di polizia, nel governo e tra i media e gli stessi organizzatori del corteo che ci sarebbero stati incidenti e l’avere depotenziato lo scontro politico gli ha, di fatto favoriti.
La piazza di Roma e l’assenza di direzione politica
Chiunque abbia un minimo di esperienza di manifestazioni si rende subito conto della composizione di una piazza. La piazza romana del 15 era una piazza non solo composita ma frammentata in una vera e propria babele politica e sociale senza precedenti. Si andava appunto da forze liberali, a forze comuniste, passando per SEL, pacifisti, ex disobbedienti, centri sociali, associazioni, sindacati, gruppi anarchici, movimenti culturali controversi, settori di ultras, punk, ravers e tanti non riconducibili a nessun gruppo. Insomma c’era tutto e il contrario di tutto senza una reale direzione politica e con un’organizzazione deficitaria. Ancora una volta i servizi d’ordine erano assenti. Un potenziale anticapitalista è stato disperso perché la dinamica delle protesta è stata distorta da un impostazione politica sbagliata del coordinamento che ha promosso ed organizzato il corteo: un’impostazione che rinunciando ad indirizzare il movimento sul terreno del confronto politico col potere, ha finito con l’amplificare lo spazio di pratiche, infantili e nichiliste, avulse da una logica di massa proprio dentro ad un corteo di massa. L’insistenza politica e mediatica sugli scontri e la coerente caccia alle streghe, appaiono come la comoda e consueta via di fuga dai nodi tutti politici che la realtà impone ormai a tutti di affrontare.
Valutazioni errate
Molte organizzazioni e gruppi politici sono arrivati all’appuntamento di Roma con posizioni diversissime tra loro e questo era fisiologico. La domanda, però, che ci poniamo e poniamo a tutti se non era meglio rompere l’unità fittizia su questioni politiche piuttosto che permettere che settori minoritari passassero sopra la testa di tutti rompendo il corteo a danno dell’intero movimento? Tra le varie analisi errate c’è, secondo noi, il fatto che si pensasse di potere tenere assieme chi punta ad un nuovo governo di centrosinistra con chi invece vuole portare avanti un’opposizione di classe all’intero sistema. Un altro grave errore di analisi è stato compiuto da chi credeva di ripetere un “14 dicembre” confondendo di fatto due movimenti assai diversi: “l’onda” e “l’indignados”. L’onda aveva il suo fulcro in un soggetto sociale preciso: gli studenti che da tempo sapevano di dover pagare le spese della crisi. Tra gli “indignados” c’è una moltitudine interclassista con soggetti poco avvezzi alla conflittualità sociale. Settori piccolo borghesi che si trovano a fare i conti con la crisi senza che lo immaginassero fino a poco tempo fa. La politica dovrebbe tornare ad essere protagonista per questo i compagni ovunque organizzati prima di dire e fare farebbero bene a studiare ed analizzare la fase a non soffocare il dibattito e l’approfondimento politico. A voler citare Lenin: “Non c’è movimento rivoluzionario senza teoria rivoluzionaria”.
Violenza non violenza
Tutti noi a 10 anni da Genova e dopo le guerre imperialiste, non fermate dal movimento pacifista, non vorremmo essere qui a parlare di violenza e non violenza perché rischia di essere fuorviante e sicuramente è frustrante. La divaricazione delle posizioni, quasi sempre marcatamente ideologiche, tuttavia, ci costringe a tornare sul tema. Gesti infantili e dannosi, figli di una ricerca estetista del gesto, meritano una critica netta. La critica al vandalismo, tuttavia, muove da una posizione assai diversa di quella del pacifismo, dell’opportunismo elettorale o peggio ancora dalla logica delle questure, ma muove dall’interesse della rivoluzione. L’avversario fondamentale dei lavoratori, dei giovani, delle loro lotte, rimane il capitalismo e il suo stato.
Non siamo pacifisti, e in ogni caso manteniamo la misura della realtà. La violenza consumata contro auto in sosta o contro statue religiose – per quanto dannosa e demenziale- resta infinitamente minore della violenza consumata quotidianamente nello sfruttamento di milioni di uomini e di donne, nella segregazione dei migranti, o nelle missioni di guerra. Per questo non ci uniremo mai al coro stonato di chi è “contro la violenza” come il ministro degli interni secessionista e xenofobo, o di un centrosinistra amico dei banchieri strozzini, o di chi sino a ieri “votava” i bombardamenti in Afghanistan. Non ci uniamo a tale ipocriti e giudichiamo gravissimo l’atteggiamento di alcuni compagnucci, perché a questo punto non si possano più definire compagni, che invitano alla delazione. Spie e delatori fanno danni quanto e forse più dei vandali. Ci preme, inoltre distinguere tra gli episodi avvenuti in via Cavour dove a farne le spese sono stati anche compagni precari che si sono visti incendiare l’auto (con un servizio d’ordine questo si poteva evitare) e la resistenza di piazza S. Giovanni, noi stiamo incondizionatamente dalla parte dei giovani e della loro resistenza. Altro che Black Block e infiltrati a San Giovanni una generazione giovanissima ha difeso la piazza dai caroselli dei blindati e dalle cariche della polizia. L’utilizzo indiscriminato della violenza è sbagliato ma altrettanto sbagliato è il pacifismo tout court. Significativo dell’ipocrisia di alcuni settori pacifisti è la contestazione a Pannella, sicuramente in cerca di provocazioni . Gli stessi che urlavano “fascisti” contro i manifestanti più caldi poi non hanno esitato a insultare, sputare e spintonare il leader radicale colpevole secondo loro di favorire Berlusconi perché si è distinto dal PD in alcune votazioni. Insomma due pesi e due misure alla faccia della coerenza.
Prospettive per il futuro
Nonostante gli errori e le occasioni perse e la forza mediatica del nemico pensiamo che non tutto sia da buttare. Occorre però rimettere al centro la politica e non nascondere le differenze. La ricerca dell’unità deve avvenire nella trasparenza, nella chiarezza e nel rispetto delle posizioni politiche. Dove è auspicabile e possibile trovare una sintesi ben venga, dove si vuole tenere assieme tutto e il contrario di tutto, invece è meglio, separare il grano dalle ortiche. Per noi il movimento adesso deve ripartire da due punti chiave il primo è quello di difendere l’agibilità politica, il diritto a manifestare, contrastare la repressione, opporsi alle idee perverse e antidemocratiche di leggi speciali. Chi propone il ritorno alla legge reale non può in alcun modo essere un interlocutore dei movimenti sociali. L’IDV se mai lo fosse stata si è posta fuori dal movimento con la delirante affermazione del suo leader lo sceriffo Antonio Di Pietro. L’altro punto è quello di ricomposizione e di avanzamento del movimento partendo dalle istanze dei territori. Difendendo e riappropriandoci dei beni comuni, rimettendo i quartieri e la città al centro di un’azione sociale e politica (per noi le due cose non sono scindibili) partendo dal basso.
La difesa dell’ambiente e il diritto alla salute, la difesa della scuola pubblica, il diritto alla casa al lavoro, all’istruzione, la difesa della cultura non devono rimanere slogan astratti ma devono essere declinati su un terreno pratico di conflittualità sociale che sappia far intravedere alle masse un’idea altra di società.
Coordinamento Anticapitalista Versiliese

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