1999 altro che fine della storia. Il popolo di Seattle prima del G8 di Genova.

La polizia lancia gas lacrimogeno durante le manifestazioni contro l’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), Seattle, 30 novembre 1999 (AP Photo/Eric Draper, File)

Il ventesimo secolo era agli sgoccioli, dieci anni prima c’era stata la caduta del muro di Berlino e la drammatica fine dei paesi a “socialismo reale”, la narrazione dominante parlava di fine della storia, riprendendo le parole di quell’impostore che rispondeva al nome di Francis Fukuyama. Il neo liberismo era la politica economica dominante anzi era l’economia che dominava sulla politica. I mercati dell’Est Europeo si erano aperti e subito dopo loro i mercati di tutto il mondo ai processi di globalizzazione capitalista. Gli USA avevano bombardato la Jugoslavia e con le bombe su Belgrado avevano parlato a Cina, Russia e alla nascente UE facendo capire che loro e solo loro erano la potenza dominante. Effettivamente in questo scorrere di eventi vedere una prospettiva che rompesse il pensiero unico era difficile ma nel novembre del 1999 a Seattle quindi proprio nel ventre del mostro qualcosa accadde. Era nato quello che fu ribattezzato prima popolo di Seattle, poi movimento no global, infine movimento dei movimenti. Si trattava di un qualcosa di inaspettato per l’opinione pubblica mondiale ma non per chi da anni lavorava ad una critica al neoliberismo. ’L’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), la principale organizzazione internazionale che promuove il libero mercato, aveva organizzato il biennale convegno dei suoi dirigenti allo State Convention and Trade Center di Seattle. Il convegno era stato programmato con largo anticipo e gli attivisti anti-globalizzazione si organizzarono di conseguenza sfruttando la rete. Internet sembrò ridare vita a fermenti sopiti da decenni, come un fiume carsico che scorre nel sottosuolo e riappare all’improvviso in superficie. Il movimento che si scontrò per le vie di Seattle apparve subito un movimento plurale con una miriade di posizioni e sensibilità ,ma questa babele sarebbe stata anche la sua forza. Sindacalisti preoccupati delle nuove forme di sfruttamento, contadini che si vedevano cancellati dalla grande distribuzione, ambientalisti che denunciavano le imminenti catastrofi ambientali, partiti e gruppi di una sinistra confusa che si leccava le ferite ma soprattutto una nuova generazione, quella generazione a cui era stato detto: “che sarebbero stati le donne e gli uomini del 2000.” Il 2000 stava arrivando ma non aveva le sembianze narrate ricordava piuttosto l’ennesima puntata del dominio capitalista quello che ormai da due secoli e mezzo opprimeva il pianeta e aveva prodotto ben due guerre mondiali.

A Seattle si vide, quindi per la prima volta dopo il 1989 e la fine del socialismo reale, un’opposizione internazionale al capitalismo anche se si manifestò essenzialmente come critica al neoliberismo. Nel 1994 l’insurrezione zapatista in Chiapas aveva già mostrato che la storia non era finita e soprattutto non era finita come volevano i padroni seppur, momentaneamente, vincenti. Il movimento di Seattle con tutti i suoi limiti di analisi e di azione, con tutte le sue divisioni e le sue esitazioni, rappresenterà comunque per gli anni successivi un punto di riferimento come immaginario di un altro mondo possibile, questo sarà anche lo slogan contro il G8 di Genova, ma soprattutto un luogo concreto di prassi e confronto politico che riattiverà giovani e giovanissimi se no destinati a non incontrare mai l’impegno sociale e politico. Non si può capire il G8 di Genova se non si capisce Seattle e tutti i controvertici che caratterizzeranno i due anni successivi a Seattle. Tantissime le città in cui un popolo variegato manifesterà il suo dissenso da Praga a Davos; da Amsterdam a Napoli, da Nizza ad Amsterdam. Un movimento internazionale e internazionalista che fu subito accolto in modo violento dai vari stati che fin da quel novembre 1999 tentarono di reprimerlo. Più di seicento furono gli arresti e centinaia e centinaia i feriti e contusi. Il vertice fu costretto ad interrompere i lavori e il capo della polizia fu costretto a dimettersi. Questo movimento, forse, fu troppo sottovalutato anche da certi compagni che invece di mettersi al lavoro per favorirne una direzione rivoluzionaria lo snobbarono o lo seguirono a fasi alterne prediligendo la costruzione di soggetti esterni ad esso. Il ruolo dei marxisti all’interno di quel movimento richiederebbe un approfondimento particolare e molto tempo anche perché non tutti i marxisti ebbero lo stesso approccio rispetto a questo fenomeno. Alcuni furono colti di sorpresa, altri come abbiamo già detto lo snobbarono, altri ci si buttarono dentro in modo acritico seguendone la deriva. Pochi praticarono un’internità senza rinunciare alla propria autonomia. Quello che è certo che il secolo finiva con il conflitto sociale ed erano i prodromi per l’inizio del nuovo altro che fine della storia.

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