Per il PCI chi è stato condannato per frode fiscale non può andare al Quirinale.

L’Art. 84 della Costituzione recita: “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni di età e goda dei diritti civili e politici.”
Una frase asciutta, di una semplicità estrema. Colpisce come all’eccezionalità del ruolo non si accompagni alcuna indicazione che stigmatizzi le qualità del candidato, che si dicono tacitamente eccezionali.
La cosa non è casuale. Siamo certi che il non fare alcun riferimento alle qualità morali della persona da eleggere, al suo passato, alla sua storia significasse una sola cosa: la certezza di poter contare sulla natura e sulla forza della democrazia, permeata dall’eroismo di una generazione che si era immolata per la sua conquista. Forti di questo, seppur grave il momento in cui veniva scritto il testo costituzionale, si era certi che ci non ci sarebbe stato mai bisogno di indirizzi per sapere quale fosse il profilo di chi avrebbe potuto onorare tale carica.
Ma le cose non sono andate nella direzione sperata. Qualcosa si deve essere rotto irreparabilmente in questi settant’anni se qualcuno può oggi solo ipotizzare la candidatura a Capo dello Stato di una persona che, seppur goda dei diritti civili e politici, ha riportato una condanna definitiva per frode fiscale e che deve affrontare altri processi. E’ una cosa di una gravità inaudita; ancor più grave che poche siano state fino ad oggi le voci che con parole chiare e inequivocabili abbiano denunciato questa indecenza, questo scandalo. 
E non solo per onorare chi si batté perché quella Carta potesse essere scritta ma per rispetto di tutte le persone per bene che oggi continuano a vivere in quei valori.  La questione non è dunque di visione politica, ma viene prima e riguarda l’etica, la morale, il pudore di un intero Paese, di cui sembra si sia persa ogni traccia.
La Segreteria Federazione PCI Lucca-Versilia

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